(Racconto scritto da Daniele Pilotto)

 

La mia vita da alpino volontario cominciò quando, il 18 ottobre dell’anno 2000, sono partito dalla stazione dei treni di Thiene con direzione Feltre, più precisamente al glorioso 7° Alpini caserma Zanittelli. Appena arrivato, dopo l’inquadramento nel piazzale dell’alzabandiera, il colonnello Dal Prà, vice comandante del reggimento, ci introdusse con parole forti e decise a quella che tutti chiamano NAJA! A seguire ci destinarono ai nostri alloggi e così senza nemmeno rendermene conto mi trovai inquadrato nella 66ma compagnia fucilieri del battaglione Feltre. Ricordo che circa trenta giorni dopo, quei ragazzi per lo più ex studenti arrivati con me quel 18 del mese precedente erano per le vie di Feltre con fucile in mano, inquadrati come un grande esercito e tutti pronti a gridare quel “Lo giuro” in piazza alta a Feltre, tra genitori e amici festanti. Dopo la prima e meritata licenza di ben 24 ore, al mio rientro in caserma mi trovai trasferito nella 264ma cp controcarri e da lì cominciò il mio vero addestramento, dall’uso di più armi, al perfezionamento fisico, alle lunghe marce su e giù tra il “Col Melone” e il “Monte Avena”.

Il febbraio successivo, mentre eravamo davanti alle nostre brande in attesa della licenza per il fine settimana, il tenente comandante della compagnia mi chiamò a rapporto e con pochissime imperative parole mi comunicò che al termine della settimana successiva sarei stato aggregato al 5° Rgt di Vipiteno nella 47° cp controcarri, per partecipare alla missione di “peace-keeping” in Bosnia Erzigovina a Sarajevo.
Carico di tutto l’affardellamento mio personale entrai in una nuova realtà del tutto diversa da quella a cui ero abituato, ma molto simile per ciò che riguarda gli aspetti umani dell’essere Alpino. Arrivò finalmente il giorno della partenza da Vipiteno a Sarajevo, passando dall’aeroporto di Verona.
L’inizio non fu dei migliori, tanto che oggi a distanza di tempo mi metto a ridere quando qualcuno parla che in caserma in Italia era difficile “tirar avanti”. Gli alloggi a Sarajevo erano tutto tranne confortevoli, tanto che lo stabile destinato ai nuovi arrivati veniva chiamato “piano medusa”, non so ancora oggi il nesso logico, però ricordo che eravamo in 42 a dormire nella stessa stanza, che non c’erano servizi igienici funzionanti all’interno e che non c’erano né vetri né alcun tipo di riparo sugli infissi delle finestre (fuori per la prima settimana nevicava) e per riuscire a vedere dove mettere i piedi ci arrangiavamo con candele o piccole torce a batteria. Da subito capii che sarebbe stata “dura” ma come mi era stato insegnato ”gli alpini non hanno paura…” così affrontai questa esperienza a testa alta e con impegno perché solo così si oltrepassano le difficoltà.
Su centoventidue giorni di permanenza nella Task-Force italiana i giorni di guardia sono stati ben ottantotto, i restanti tra pattugliamenti in città, esercitazioni, notti di pronto intervento e una missione operativa di tre giorni a Mostar.
Ricordo quello che ci dissero i nostri “veci” prima del loro rientro in patria: “prendete qualcosa da mangiare al mattino in mensa e portatelo con voi quando andrete di guardia al “monte Hum” o quando andrete di pattuglia esterna diurna”. Subito non riuscivamo a capire cosa quelle parole significassero, ma non ci volle molto, infatti alla prima guardia “su al monte”, il mezzo che ci trasportava arrancava su per quella ardua salita contornata da case, e al nostro passaggio da quelle stesse case uscivano ragazzini che rincorrendoci speravano di ricevere una mela, una bibita o qualsiasi altra cosa che a loro non era possibile avere. Ci sentivamo felici ogni volta che ci assegnavano il turno di guardia a quella torre in cima al monte, perché era bello vedere quei sorrisi e quelle facce così felici da farti passare la notte di guardia leggeri nel cuore e nello spirito, perché consapevoli di aver fatto qualcosa di buono.
E così arrivò quel 5 luglio che vide il nostro rientro in patria e di conseguenza il mio rientro al 7° di Feltre.
E sì… ero io finalmente un “vecio” pronto al congedo e al rientro alla vita civile, e come me anche tutti gli altri del 10°/2000, gli stessi che la sera del 17 ottobre 2001 si ritrovarono a marciare per le vie del centro di Bassano e a salutarsi su quel Ponte che tante ne vide…