IL DISASTRO DEL VAJONT RACCONTATO DALL’ALPINO ARDUINO PARISOTTO

Mi presento: Parisotto Arduino, 7° Alpini – Compagnia Comando – Caserma Salsa – Soccorritore a Longarone.

È il 9 ottobre 1963. Ore 22.39: cade la frana sulla diga del Vajont.

Siamo in caserma al 7° Belluno quando alle ore 23.00 suona l’allarme: “Sarà il solito addestramento” pensiamo, e invece ci dicono di preparare lo zaino leggero. È emergenza, qualcosa di grave è successo alla diga del Vajont.

Ore 3.00 del 10 ottobre 1963: si parte. A Ponte delle Alpi il convoglio si ferma in attesa di istruzioni ma la tensione comincia a farsi sentire e la consapevolezza di un disastro si concretizza.

La strada è ostacolata da detriti di tutti i genere. A Faè, 6 chilometri da Longarone, tutto è bloccato. Bisogna proseguire a piedi. Scendiamo dai camion e a mani nude cominciamo a liberare la strada: si avanza solo a piedi. Alle prime luci dell’alba uno scenario apocalittico si apre davanti ai nostri occhi ed il terrore di quello che è accaduto nella notte si fa strada davanti a noi. Indescrivibile! Quello che è rimasto ha tutto lo stesso colore: fango, distruzione e morte. A gruppi di 10 soldati ci siamo inoltrati in quell’inferno per recuperare quello che restava della dignità umana: attimi di vita immortalati per sempre, scene di vita quotidiana straziate dalla forza devastante dell’acqua.

Ricordo nell’angolo di una casa un nonno con il nipotino in braccio che tentava di proteggere dalla violenza dell’impatto con l’acqua due coniugi, presumibilmente coricati nel proprio letto, denudati e pietrificati dal fango. Teste senza corpi nel ruscello che scende da Pirago verso la Valle del Piave.

Ore 15.00 del 10 ottobre 1963: prima sosta di riposo. Ammutoliti, straziati dal dolore con il cuore gonfio di sofferenza e gli occhi che non riuscivano più a trattenere le lacrime, ci sentivamo tutti fratelli, madri, padri di quelle persone che eravamo costretti a mettere in fila per un riconoscimento da parte di qualche famigliare, che risultava alquanto difficile ricomporre i corpi straziati e sfigurati; con religiosa tenerezza era il minimo che potevamo fare. Non si può dimenticare! In una notte, noi giovani 20enni ci siamo ritrovati adulti e abbiamo riscoperto la nostra profonda umanità.

Qualche giorno dopo il disastro sono arrivate le ruspe e noi alpini dovevamo recuperare i cadaveri imprigionati nel fango e tra i detriti. L’odore acre della morte era ovunque e per molto tempo è rimasto impresso nelle nostre narici e nella nostra mente.

Altro momento straziante è stato il ritorno degli emigrati. Come ritrovare i propri affetti in mezzo a un deserto di morte? Avevamo allestito una casa prefabbricata per radunare tutte le foto, i ricordi, i nomi che avevamo trovato e lì chiunque poteva cercare con desolante calma quello che era rimasto dei propri cari, delle proprie case. A noi militari non mancava la forza e la volontà di aiutare ma a volte le gambe ci tremavano davanti a tutto quel disastro, a tutto quel dolore. Alla morte.

Il 4 novembre 1963 la mia compagnia “Comando” ha sfilato a Firenze in occasione della Festa dell’Arma e al nostro passaggio davanti alle tribune delle autorità ci hanno presentati come “Gli Angeli Soccorritori di Longarone”. Si, è vero! Siamo stati proprio degli Angeli per quelle persone, perché nella nostra umanità li abbiamo onorati. Questo titolo lo ha ribadito anche l’attuale sindaco di Longarone Roberto Padrin in occasione del 50° dal disastro il 9 ottobre 2013.

La bandiera del 7° Reggimento Alpini è stata decorata di medaglia d’oro al Valore Civile.

Gli Alpini di Sarcedo che hanno partecipato al soccorso sono: Campese Achille, Cappellotto Renzo, Castello Adriano, Parisotto Arduino, Salbego Danilo e Sperotto Luigi. Questa esperienza ha lascito un segno indelebile nel nostro cuore di giovani Alpini e mai più potrà essere cancellato.

 

GLI ANGELI SOCCORRITORI DI LONGARONE … SARCEDENSI

Campese Achille  Cappellotto Renzo  Castello Adriano

Parisotto Arduino  Salbego Danilo  Sperotto Luigi