(Scritto da Roberto Cappellotto)

 

Il Ministero della Difesa in data 10 aprile 1998 ha comunicato alla famiglia di Antonio Pauletto che “dagli esiti delle ricerche effettuate ...è emerso che il Vostro congiunto, sol. Pauletto Antonio, già dichiarato disperso, è stato catturato dalle FF.AA Russe, internato nel campo n. 188 TAMBOV, ove è deceduto il 28.02.1943”.
È arrivata così, dopo ben cinquantacinque anni, la risposta all'interrogativo, che si poneva con angoscia papà Michele nell'ultima lettera al figlio, penosamente datata 28 febbraio 1943, proprio il giorno della morte di Antonio in prigionia: ”Non potrai mai sapere Quanto Dolenti siano i tuoi genitori a vedere che son pas(s)ati cinquanta giorni che non ab(b)iamo tue notizie”. Ora almeno i familiari, gli amici e i compagni d'armi possono ricordarlo in pace, perché la memoria di un Disperso è un continuo tormento, come capita tuttora ai parenti delle decine di migliaia di soldati, appartenenti all'armata italiana dissolta nel gelo delle steppe russe.

Antonio Pauletto, primo di nove fratelli, era nato il 29 gennaio 1922, una classe predestinata alla tragica vicenda della campagna in Russia; il papà Michele del 1896 aveva combattuto come ardito nella Grande Guerra sul Grappa, la mamma Marianna, donna di temperamento e di fini sentimenti, era del 1898. Una vita sui campi fino alla partenza per la guerra; aveva di poco varcato la soglia dei vent'anni, quando il 18 agosto del 1942 a Gorizia salì sulla tradotta che doveva portarlo a Izium, a duecento chilometri dalla linea del fronte sul Don, distanza che avrebbe dovuto percorrere a piedi con i commilitoni della 17^ batteria del Gruppo Udine, Terzo Artiglieria, della gloriosa Divisione Julia.
Di Antonio resta ai fratelli la Croce al Merito di Guerra, conseguita nel 1967, ora possiamo dire alla memoria, ma soprattutto rimane il ricordo di un giovane buono e generoso, sensibile e attaccato come pochi altri alla famiglia e alla sua terra. Il suo profilo di ragazzo semplice e attento ai problemi della famiglia, che aveva lasciato Sarcedo, più che ai propri di soldato esposto ai pericoli della guerra e alle insidie di un clima micidiale, emerge nitidamente dall'epistolario, insolitamente numeroso, che Antonio scrisse dal fronte ai genitori e che i congiunti hanno avuto la delicatezza affettiva di conservare: ben 26 lettere spedite a casa nel breve spazio di tempo che va dal 19 agosto al 31 dicembre 1942 e ancora una che porta la data dell'8 gennaio 1943 a firma di papà Michele, struggente testimonianza di amore paterno e di speranza che non voleva morire. Le lettere alla famiglia sono tutte indirizzate ai genitori, ma Antonio non manca mai di interessarsi ai fratelli, in particolare di Dante che si trova sotto le armi, di Micheletto per il lavoro, del piccolo Vittorio di tre anni e di Romano. Il contenuto, rispetto al clima di tragedia che si andava profilando sul Don, è condizionato da almeno tre fattori: il primo indubbiamente deriva dalla censura militare, il secondo dal desiderio costante di Antonio di rassicurare la famiglia minimizzando la cruda realtà, il terzo dalla disinformazione sistematica in cui si trova la truppa, tanto più significativa in un giovane soldato catapultato dalla tranquilla vita dei campi dentro l'ostile ambiente di guerra e nelle paurose incognite delle steppe russe. La corrispondenza con la famiglia è di grande intensità e di assiduità veramente rara.
La presente pubblicazione vuole essere un omaggio dei fratelli alla memoria di un ragazzo, uno dei tanti, che, mandati a combattere una guerra non voluta, lasciarono una vita sorridente di promesse, di sogni e di speranze nella steppa e sulle ondulate alture del Don o, come Antonio, a decine di migliaia, sui nudi giacigli dei lager russi, vittime della fame, del freddo e della malattie.
In questo senso assieme ad Antonio Pauletto rivivono indelebilmente nel nostro ricordo tutti i Caduti e i Dispersi della campagna di Russia, di tutti i fronti e di tutte le guerre, anche come segno di solidarietà verso quanti hanno aspettato inutilmente per lunghissimi anni e in troppi casi attendono ancora un filo di notizia su chi non è tornato.